domenica 28 ottobre 2007

Storia di un boia

Scritto il 10 Marzo 2005.

Vorrei aver vissuto gli ultimi vent'anni su una barca al largo, circondato solo dal profumo del mare. Vorrei essermi svegliato al suono delle onde, al grido dei gabbiani. Vorrei aver conosciuto la spensieratezza, l'innocenza, la purezza. Vorrei aver camminato stringendo la loro mano, per sempre. Vorrei aver vissuto solo di sorrisi, parole dolci, carezze e sguardi rassicuranti. Sospeso nel tempo e nello spazio. La mente libera dai pensieri, una sigaretta, un caffè caldo e mia moglie Sara. Vorrei credere che tutto ciò possa esistere. Vorrei credere che questa sarà la vita di mio figlio. Vorrei credere che il mio sacrificio lo renderà più forte e saggio. Vorrei credere alle mie bugie. Vorrei chiudere gli occhi e restare sospeso in questa effimera fantasia. Vorrei poter dimenticare...
Dimenticare che non ho avuto abbastanza forza e determinazione per credere nei miei sogni, che ho lasciato che gli eventi mi trascinassero, alla deriva. Vorrei dimenticare che i soldi con cui pago le bollette sono sporchi di sangue, del mio stesso sangue. Dimenticare che prendo 150 dollari per premere un interruttore e mettere fine ad una vita. Vorrei essere tanto ingenuo da non sapere che su quella sedia elettrica ho ucciso e continuo ad uccidere anche me stesso. Vorrei dimenticare che il prezzo che io ho dato alla mia vita è di 150 dollari.Vorrei cantare il mio dolore, ma con la mia anima ho ucciso anche la mia voce, giorno dopo giorno, esecuzione dopo esecuzione. Ho lasciato che la mia mente fuggisse la realtà, che il mio cuore smettesse di battere. Ho sognato la vita, ho vissuto la morte. Vorrei dimenticare, ma non è possibile.
Oggi ho premuto il mio ultimo interruttore.
Ho continuato a rifugiarmi sulla mia barca, nelle mie fantasie ogni volta che sentivo la terra franarmi sotto, ogni volta che sono sceso a compromessi, che mi sono lasciato corrompere e ho soffocato quel grido interiore che continua a trafiggermi alla ricerca di una via d'uscita. Oggi per me non c'è più posto neanche sulla mia barca. Oggi ho premuto il mio ultimo interruttore. Non riesco a lavar via l'odore di morte. Continuo a vedere quegli occhi, tutti uguali, che mi rovesciano addosso la loro colpa, la loro rassegnazione, la loro disperazione, il loro peso. Oggi non riesco più a sorreggerlo.
Chiamatemi carnefice, è quello che sono stato, ma non dimenticate che sono stato anche vittima, di me stesso, della mia fragilità, della realtà che mi circonda. Vorrei poter dire che oggi è il giorno in cui mi tolgo la vita, ma non è così, io sono già morto. Sono morto vent'anni fa, insieme al primo uomo che ho visto spegnersi in quel braccio della morte.

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